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Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

Caro San Giuseppe,
scusami se approfitto della tua ospitalità e mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te. (...)
Io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. Lei ha puntato tutto sull’onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza. La carità ha fatto il resto in te e in lei. (...)
Si è fatto tardi, Giuseppe.
Nella piazza non c’è più nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino. Nelle case, le famiglie recitano lo “Shemà Israel”. E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi.
E poi c’è Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure
per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire!
Buona notte, Giuseppe!
(Don Tonino Bello, Lettera a san Giuseppe)
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