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Comunità

cena etnicaSabato 18 gennaio abbiamo vissuto una bella esperienza di comunione e amicizia con le persone che hanno partecipato alla cena etnica africana organizzata dai gruppi missionari del Vicariato del Bassanello. È stato un momento di convivialità che ha radunato diverse persone provenienti da alcune parrocchie dei dintorni con lo scopo di stare insieme, conoscere qualche angolo dell’Africa e assaggiare piatti etiopi e marocchini. La cena è stata vissuta in un ambiente di festa con un bello scambio generazionale: abbiamo avuto, infatti, la presenza di bambini, di un bel gruppo di giovani provenienti del GIM (Giovani Impegno Missionario) e da adulti sensibili alla missione.
La cena è stata preceduta da una vivace Eucaristia animata con canti e preghiere missionarie, mentre dopo aver gustato i piatti etnici ci sono state proposte due affascinanti testimonianze di esperienze missionarie, una dall’Etiopia e l’altra dal Kenya, entrambe presentate da due coppie di giovani che hanno fatto un viaggio missionario con la famiglia Missionaria Comboniana, Alessandro Faggiani e Rita Scolaro, Miriam Nicoletti e Thomas Lucon.
Ringraziamo tutti coloro che sono stati coinvolti e hanno collaborato alla preparazione della cena, un’esperienza che ci aiuta ad aprire i nostri orizzonti e a sentirci membri di un’unica famiglia umana.

Suor Yamileth

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samaritanoCari fratelli e sorelle infermi, la malattia vi pone in modo particolare tra quanti, “stanchi e oppressi”, attirano lo sguardo e il cuore di Gesù. Da lì viene la luce per i vostri momenti di buio, la speranza per il vostro sconforto.

Egli vi invita ad andare a lui: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28) In lui, infatti, le inquietudini e gli interrogativi che, in questa “notte” del corpo e dello spirito, sorgono in voi troveranno forza per essere attraversate. Sì, Cristo non ci ha dato ricette, ma con la sua passione, morte e risurrezione ci libera dall’oppressione del male.

Perché Gesù Cristo nutre questi sentimenti? Perché egli stesso si è fatto debole, sperimentando l’umana sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre. Infatti, solo chi fa, in prima persona, questa esperienza saprà essere di conforto per l’altro.

In questa condizione avete certamente bisogno di un luogo per ristorarvi. La Chiesa vuole essere sempre più e sempre meglio la “locanda” del Buon Samaritano che è Cristo (cfr. Lc 10,34), cioè la casa dove potete trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell’accoglienza, nel sollievo. In questa casa potrete incontrare persone che, guarite dalla misericordia di Dio nella loro fragilità, sapranno aiutarvi a portare la croce facendo delle proprie ferite delle feritoie, attraverso le quali guardare l’orizzonte al di là della malattia e ricevere luce e aria per la vostra vita.

Dal messaggio del Santo Padre Francesco per la 28a Giornata mondiale del malato

MESSA CON UNZIONE DEGLI INFERMI
In occasione della Giornata mondiale del malato,
MARTEDÌ 11 FEBBRAIO
nelle nostre comunità saranno celebrate due sante messe
(ore 16.30 a Voltabrusegana, ore 18.30 a Mandria)
durante le quali sarà amministrato il sacramento dell’unzione degli infermi.
Questo sacramento non è per i morti ma per i vivi, e lo si può ricevere più volte
nel corso della propria esistenza: quando si entra nella senilità,
all’inizio o all’aggravarsi della malattia, in punto di morte, ma non dopo di essa.
Vi invitiamo pertanto ad accompagnare a queste celebrazioni chi potrebbe averne bisogno: familiari, ma anche persone sole che abitano nella vostra via.

VISITA AGLI AMMALATI
Don Vittorio e i ministri straordinari dell’Eucarista visitano periodicamente gli ammalati
delle nostre comunità. Ricordiamoli nelle nostre preghiere, insieme agli ospiti dell’OIC,
e cerchiamo di far loro visita qualche volta.
Se venite a conoscenza di altre persone che desiderano ricevere la comunione eucaristica,
avvisate don Vittorio al numero 3288456659.

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42vitaAll’inizio c’è lo stupore. Tutto nasce dalla meraviglia e poi pian piano ci si rende conto che non siamo l’origine di noi stessi. «Possiamo solo diventare consapevoli di essere in vita una volta che già l’abbiamo ricevuta, prima di ogni nostra intenzione e decisione. Vivere significa necessariamente essere figli, accolti e curati, anche se talvolta in modo inadeguato», ha scritto l’anno scorso papa Francesco nell’Humana communitas, lettera per il 25° anniversario dell’istituzione della Pontificia Accademia per la Vita.

È vero. Non tutti fanno l’esperienza di essere accolti da coloro che li hanno generati: numerose sono le forme di abbandono e di maltrattamento. Davanti a queste azioni disumane ogni persona prova un senso di ribellione o di ver-gogna. Dietro a questi sentimenti si nasconde l’attesa delusa e tradita, ma può fiorire anche la speranza radicale di far fruttare i talenti ricevuti. Solo così si può diventare responsabili verso gli altri e «gettare un ponte tra quella cura che si è ricevuta fin dall’inizio della vita, e che ha consentito ad essa di dispiegarsi in tutto l’arco del suo svolgersi, e la cura da prestare responsabilmente agli altri».

Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta, e di cui la nostra carne, con le sue relazioni e incontri, è testimonianza, potremo aprire la porta agli altri viventi. Nasce da qui l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia.

L’ospitalità della vita è una legge fondamentale: siamo stati ospitati per imparare ad ospitare. Ogni situazione che incontriamo ci confronta con una differenza che va riconosciuta e valorizzata, non eliminata, anche se può scompagi-nare i nostri equilibri.

È questa l’unica via attraverso cui, dal seme che muore, possono nascere e maturare i frutti (cf Gv 12,24). È l’unica via perché l’uguale dignità di ogni persona possa essere rispettata e promossa, anche là dove si manifesta più vulnerabile e fragile. Qui infatti emerge con chiarezza che non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri. Il frutto del Vangelo è la fraternità.

Dal messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 42a Giornata nazionale per la vita

 

Domenica 2 febbraio,in occasione della 42a Giornata per la vita,

saranno allestite delle bancarelle di fiori davanti alla chiesa di Mandria

e dai ragazzi del Gruppo Sichem davanti al patronato di Voltabrusegana.

Il ricavato sarà devoluto al Centro aiuto alla vita di Padova.

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domparoladioA conclusione del Giubileo straordinario della Misericordia, papa Francesco aveva chiesto che una domenica dell’anno potesse essere dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio «per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo» (Lettera apo-stolica Misericordia et misera, 7).

Nella lettera apostolica Aperuit illis, con la quale istituisce tale giornata collocandola nella III domenica del Tempo Ordinario, in prossimità della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e della giornata del dialogo con gli ebrei, cita un episodio rivelatore del ruolo che i testi sacri avevano nella vita del popolo di Dio:

Il ritorno del popolo d’Israele in patria, dopo l’esilio babilonese, fu segnato in modo significativo dalla lettura del libro della Legge. La Bibbia ci offre una commovente descrizione di quel momento nel libro di Neemia. Il popolo è radunato a Gerusalemme nella piazza della Porta delle Acque in ascolto della Legge. Quel popolo era stato disperso con la de-portazione, ma ora si ritrova radunato intorno alla Sacra Scrittura come fosse «un solo uomo» (Ne 8,1). Alla lettura del libro sacro, il popolo «tendeva l’orecchio» (Ne 8,3), sapendo di ritrovare in quella parola il senso degli eventi vissuti. La reazione alla proclamazione di quelle parole fu la commozione e il pianto: «[I leviti] leggevano il libro della Legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”. Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della Legge. […] “Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”» (Ne 8,8-10).

Queste parole contengono un grande insegnamento. La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni e tanto meno una raccolta di libri per pochi privilegiati. Essa appartiene, anzitutto, al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola. Spesso, si verificano tendenze che cercano di monopolizzare il testo sacro relegandolo ad alcuni circoli o a gruppi prescelti. Non può essere così. La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità.

La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo.

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mariagiuseppe2020BETLEMME: bet (casa) lehem (pane) CASA DEL PANE

da qui

BET-LEGO: CASA DEI LEGO

Nelle nostre comunità sono comparsi dei presepi simpatici e semplici.

Sono il segno che un gioco può diventare un gioco “spirituale”, un gioco “teologico”, un gioco “di Dio” o, più semplicemente, un gioco che ci aiuta ad attendere la venuta del Messia, un segno della sua rivelazione, un linguaggio umano scelto da Dio per comunicarsi agli uomini: «E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

Il Bet-Lego è stato realizzato non da alcuni “volontari esperti” ma dalla comunità: ragazzi e famiglie hanno realizzato i diversi componenti di questo prese-pe nelle loro case, sulla base di semplici indicazioni, uti-lizzando soprattutto sensibilità e creatività proprie, sen-za sapere ciò che gli altri stavano costruendo.

Il Bet-Lego è dunque un presepe fatto dalla comunità ed è espressione dei molteplici colori della stessa: in esso infatti non c’è uniformità dei pezzi, nelle forme e negli accostamenti si avvertono “assonanze” e “dissonanze” - quasi mai stonature - e si nota chiara-mente che non è stato fatto da una sola mano. Alcune costruzioni non si comprende con quale criterio siano state poste accanto alle altre, e in effetti non c’è pro-prio alcun criterio, come nella realtà: nessuno di noi, infatti, sa spiegare perché siamo stati posti qui, l’uno accanto all’altro.

Presepi simpatici e semplici, si diceva, come l’augurio che desideriamo portare per questo Natale: che sia simpatico e semplice!

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