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Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse:
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Nel nostro impegno quotidiano a volte facciamo molto più di ciò che rientrerebbe nelle nostre strette mansioni. Le motivazioni che ci muovono possono essere differenti, ma il risultato spesso è una sorta di svuotamento: la soddisfazione che traiamo dall’aver fatto di più non ripaga lo sforzo emotivo che abbiamo, pur volontariamente, messo in gioco.
Aiutaci, Signore, a sentirci apprezzati senza bisogno di svuotarci.
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