Durante l'avvento ai giovani viene proposto un percoso spirituale-artistico: sono guidati dall'arte e dai colori alla meditazione della Parola di Dio. La notte stellata di Van Gogh traccia le tappe di questo itinerario.
I giovani vengono invitati a vivere la liturgia eucaristica, ad entrare dentro la Parola e a meditarla realizzando un'azione artistica mediante la produzione di un mosaico: arte, colori e Parola di Dio.
Nella seconda domenica: i colori tenui del silenzio quale spazio d'interiotà e profondità.
Dalle altezze del cielo, scendiamo nella dimensione orizzontale, quella della quale facciamo esperienza dalla nascita e che viviamo quotidianamente: la terra. Allacciandomi al vangelo di oggi, la terra sulla quale rifletteremo è un tipo particolare di ambiente: il deserto, che porta con sé il senso della solitudine.
Non c’è forza più grande della capacità di stare da soli con se stessi e non c’è un luogo più appropriato per imparare a conoscersi che non sia nel ritiro silenzioso dentro la propria intimità.
I colori che tra poco useremo sono il verde, il grigio, il bruno…colori “introversi” direi, che richiamano a una pausa con se stessi, un altro tipo di attesa non per aspettare qualcuno stavolta, ma per comprendere da dove vengono i tumulti che ci agitano, i pensieri buoni o cattivi che ci attraversano, i desideri sani o malati che ci animano, il nostro modo dolce o aggressivo di affrontare i giorni e le persone che incontriamo, l’essere sereni o nervosi, insomma chi e perché siamo proprio così. Prenderci dei momenti per stare soli serve per guardarci in faccia con sincerità, senza giudizio e con coraggio. Serve per fare pace con le parti di noi che non ci piacciono per niente e per accarezzare e valorizzare le parti che ci piacciono e che sappiamo essere apprezzate anche dagli altri. A volte sembra di non capire proprio niente e si sperimenta lo smarrimento che si deve provare quando non si ha nessun riferimento e su qualsiasi punto tu posi lo sguardo, niente ti fa dire… ecco devo andare di là.
Ma anche questo smarrimento serve, magari come allarme per dirci che siamo lontani dal nostro centro, da se stessi, così tanto da non vederci più e se non vedo me, come posso vedere i punti di riferimento? Penso proprio che il deserto, lo stare con sé, abbia questo grandissimo valore: quello di portarci dalla superficie alla profondità, permettendoci di conoscere sempre di più e meglio la nostra realtà fatta di poco se vogliamo, siamo terra anche noi, complessa ma fragile, intelligente ma anche poco evoluta nella parte emotiva se consideriamo che l’istinto ancora precede la razionalità nell’immediato delle nostre relazioni, tanto più quando si tratta di sé stessi.
Però più riconosciamo questo nostro centro con onestà, tanto più possiamo gestirlo e possiamo permetterci di rivolgere uno sguardo gentile sia verso l’altro (perché è vero anche che ci conosciamo nel relazionarci con gli altri) sia verso l’alto, verso quel Cielo del quale pure siamo fatti e che in un punto della storia ci è stato così vicino da parlarci, da toccarci, da commuoversi per noi e morire per testimoniare che essere pienamente Uomini e Donne, con tutte le cose meravigliose che possiamo fare su tutti i piani, dall’intelligenza, alla creatività, ai sentimenti, alla carità, ci fa assomigliare a Dio.
Come abbiamo sentito anche dal vangelo, il deserto è proprio il luogo della scoperta e del riconoscimento della propria identità e del senso da dare alla propria vita: Giovanni Battista ci vive nel deserto e lì capisce che non è lui il messia e il suo compito è quello di annunciare che arriverà uno più grande di lui; Gesù, dal canto suo, nel deserto si riconosce e fa chiarezza sul senso della sua nascita e della sua esistenza. Non credo sia un luogo indicato a caso, credo invece che nel silenzio del deserto come Giovanni e Gesù, anche io posso capire chi sono e verso dove dirigere i miei passi perché c’è un Qualcuno che mi incontra anche lì, dove penso di essere solo… mi incontra lì e più attuo un silenzio fiducioso, più riesco a sentirlo.
Fabio
